Atomi,Tutte “Piccolo”

“Piccolo”



La disattenzione, se non la sciatteria e la manipolazione, verso il linguaggio è allo stesso tempo sintomo e motore di un grave disagio sociale. Riuscire a gustare la profondità delle parole ha un valore immenso. anche a partire da stimoli molto semplici. Mettendo insieme, come sempre, immagini e parole. Che potremmo scrivere anche “immagini parole”, dove “immagini” è sostantivo, ma anche verbo di buon auspico.

Cominciamo con “Piccolo”

Piccolo

“C’è chi considera nulla ciò che è piccolo: per essi non sarà grande nemmeno ciò che è grande” (Ortega Y Gasset, Meditazioni del Chisciotte). “Piccolo” è spesso identificato con insignificante. Certo, non va confuso con mediocre o meschino. Anche “grande” può avere un valore positivo: diciamo infatti “avere un cuore grande” e cose del genere. Però possiamo cogliere il vero valore della grandezza solo se sappiamo prima cogliere quello della piccolezza. Altrimenti confondiamo “grande” con la bulimia narcisista di chi accumula potere e ricchezze, come se a fare grande un pittore fosse la grandezza dei suoi quadri o l’importanza dei personaggi rappresentati. Allo stesso modo i dolori dei piccoli non sono piccoli dolori. I piccoli sono certamente i bambini, ma anche le tante persone che non hanno potere, che sono considerate spazzatura, come ha recentemente dichiarato una importante personalità statunitense. Eppure in ciò che è piccolo, apparentemente insignificante, abita la grandezza del divino. “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,42). Agli amici che esitavano a entrare nella cucina in cui si trova, Eraclito gridò: “Entrate! Entrate! Anche qui ci sono dei!”. Riprendiamo Ortega Y Gasset: “non sono le grandi cose, i grandi piaceri o le grandi ambizioni a trattenerci a questo mondo, ma quel minuto benessere vicino ad un focolare in inverno, quella grata sensazione offerta da un liquore che beviamo, quella maniera di camminare di una ragazza che non amiamo né conosciamo, quella tale arguzia che l’amico ingegnoso ci dice con la stessa voce di sempre”.

Swami Haridasa con Tansen e Akbar a Vrindavana (particolare del giardino)
Autore sconosciuto, 1700-1760 circa
Museo Nazionale, Nuova Delhi (India)