Anselmo Grotti Cittadinanza,Corsi,Formazione,Notizie,Tutte Conoscere, generare, condividere

Conoscere, generare, condividere



[Corsi; Notizie].

Sabato 26 novembre si è svolto il terzo incontro di formazione con gli insegnanti delle scuole Esedra di Lucca sul tema della cultura digitale. Il corso è integrato in un più ampio progetto di coprogettazione di ambienti e procedure di apprendimento laboratoriale capaci di offrire specifiche competenze trasversali agli studenti e anche servizi alla comunità di appartenenza. L’incontro è stato incentrato sui temi della cittadinanza digitale e consapevole.

Se comunichiamo attraverso la posta elettronica siamo in grado di interagire con chiunque abbia una connessione Internet. L’interlocutore può usare qualsiasi programma desideri. Non funziona così con le App di messaggistica. Se uso WhatsApp non posso comunicare con chi usa Telegram. Se uso Facebook sia io che i miei interlocutori dobbiamo essere iscritti a questa piattaforma. Possiamo sintetizzare dicendo che con la posta elettronica si è liberi di parlare la propria lingua (hardware e software), ma il sistema è comune, così che ciascuno viene compreso dall’altro. Avevamo conquistato un oceano che metteva in comunicazioni tutti i mari, ci ritroviamo immersi in delle piscine, magari molto grandi e anche confortevoli, costruite con finalità non sempre compatibili con il concetto di cittadinanza. La cittadinanza è tale se riconosciuta in maniera omogenea. Nel ventennio fascista gli italiani non avevano tutti gli stessi diritti di cittadinanza: a partire dal 1938 gli ebrei, anche se italiani, perdono progressivamente ogni diritto (persino quello alla vita). In generale i non iscritti al Partito Nazionale Fascista non avevano diritti pari a quelli dotati di tessera. Quando i diritti vengono subordinati all’appartenere o meno a un gruppo si ha un vulnus profondo della democrazia. L’Onu ha dichiarato l’accesso a Internet un diritto umano ma, come avviene anche in altri casi, non sono pochi i Paesi in cui esso viene violato. La Cina si è dotata di una “grande muraglia elettronica” che blocca decine di migliaia di siti non graditi al regime, ha chiuso ai propri cittadini l’accesso a Facebook e WhatsApp. Ha realizzato propri programmi di messaggistica che vengono controllati e bloccati dalla censura. In Bielorussia per commentare una notizia occorre inserire il proprio numero di cellulare. In Siria la lunga guerra ha provocato restrizioni, tra cui l’obbligo per gli Internet cafè di tracciare la navigazione dei propri clienti. In Iran e Vietnam la navigazione è controllata. A Cuba le tariffe sono molto alte, in Etiopia a volte l’accesso viene bloccato del tutto e comunque si può usare solo un motore di ricerca interno controllato dal governo. Forse la massima censura è in Corea del Nord: qui la Rete si chiama Kwangmyong ed è esclusivamente interna (a rigor di termini non è neppure Internet ma solo una intranet, una rete interna a una azienda), che dà accesso solo a poche migliaia di siti, ovviamente tutti governativi. In Occidente poche grandi piattaforme gestiscono in modo quasi monopolistico miliardi di utenti, così che il concetto stesso di sovranità statale si è fortemente indebolito a favore di una sovranità gestita da oligopoli privati.

Già nel 2017 la Pontificia Accademia delle Scienze e la Fondazione per la collaborazione tra i popoli (presidente Romano Prodi) avevano riunito in Vaticano insigni studiosi che stilarono una Dichiarazione a favore dell’accesso universale alla Rete. Nell’ottobre 2020 l’Unione Europea ha aperto un processo che dovrebbe portare a considerare tale accesso un diritto umano universale. Tim Berners-Lee (ricordiamo che il web è stato inventato da un europeo) ha calcolato la spesa necessaria per rendere Internet disponibile a tutti gli abitanti del Pianeta in dieci anni: 30 miliardi di dollari, quanto si spende nel mondo ogni anno per le bevande gassate…. Al momento tre miliardi di persone sono escluse e anche in Europa il 32% degli studenti non può accedere all’istruzione a distanza divenuta cruciale in tempi di pandemia. Dare a tutti la possibilità dell’accesso alla Rete è però solo un primo passo per superare il divario digitale. Occorre la competenza di muoversi dentro l’ambiente della Rete. Guidare una macchina senza avere la patente può essere un guaio.

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