Anselmo Grotti Cittadinanza,Corsi,Digitale,Notizie,Tutte La rivoluzione digitale: la politica

La rivoluzione digitale: la politica



[Notizie: Corsi]. Martedì 18 ottobre, secondo incontro del ciclo “La rivoluzione digitale: come cambiano le nostre vite, le relazioni, la politica”.

Gli incontri si svolgono presso la sede di Piazza Fanfani, 9 (ex caserma Cadorna), dalle ore 16.00 alle 18.00
Informazioni e iscrizioni:
Telefono e Fax 0575 28332
Email: info@unielarezzo.it

L’evoluzione biologica degli esseri umani si è sviluppata, come per tutti gli altri essere viventi, con l’intersecazione di un linguaggio intrinseco nel corpo fisico: il codice genetico, il Dna. In questo modo ciascun nuovo nato è il frutto di una “conversazione” sviluppatasi in una lunghissima catena di generazioni.

Negli esseri umani questa conversazione si allarga a un dato del tutto nuovo: lo sviluppo culturale, tramite il quale le acquisizioni di ciascuno possono essere condivise con altri. In questo modo abbiamo assistito a un enorme incremento di quantità e profondità dello sviluppo umano, capace di passare molto rapidamente da una generazione all’altra, da un gruppo sociale all’altro.

La maggior parte degli esseri viventi si sono specializzati progressivamente in un dato settore, riuscendo a conquistare determinate nicchie ecologiche, nelle quali sono i più adatti alla sopravvivenza e alla riproduzione. La loro evoluzione ha riguardato direttamente il loro corpo, il modo con cui sono fatti e generano i loro figli.

 Nel caso degli esseri umani invece la predominanza assunta dal linguaggio ha fatto sì che lo sviluppo fosse legato alle estroflessioni, alla capacità di realizzare un supporto esterno che facilitasse il raggiungimento di un obiettivo. La capacità di correre, di volare, di calcolare, di comunicare a grandi distanze non è inscritta direttamente nel nostro corpo ma si realizza attraverso degli artefatti esterni. Se nel primo caso queste competenze sono presenti direttamente nel Dna, nel caso umano lo sono solo grazie alla condivisione e comprensione consapevole dei saperi. Le estroflessioni fanno parte di noi, sono il prolungamento esterno del nostro corpo – e in un certo senso anche della nostra mente[1].

Il linguaggio rappresenta il grande scandalo della natura, una discontinuità molto profonda[2]. La comunicazione dei saperi (non solo tecnici ma anche esistenziali) diviene con il linguaggio un aspetto strategico. Se non funziona non posso appoggiarmi a meccanismi automatici. Se funziona posso estendere i saperi tendenzialmente a tutta l’umanità: il sapere condiviso non è suddiviso, i beni comunicazionali non sono a somma zero e non implicano, di per sé, che qualcuno li possieda a scapito di altri che ne rimangono esclusi.

La comunicazione è dunque atto eminentemente umano e, proprio per questo, inestricabile intreccio di natura e cultura. Il linguaggio umano, pur diverso da quello biologico del Dna, non è tuttavia slegato da un riferimento corporeo, non può fare a meno di relazionarsi con una estroflessione, con una tecnologia. Ognuna delle decine di migliaia, forse centinaia di migliaia, di lingue che hanno nel tempo permesso agli esseri umani di comunicare sono una forma di tecnologia che ha utilizzato codici, strutture, regole sintattiche e semantiche. La tecnologia è divenuta ancor più visibile con la scrittura, che necessariamente ha richiesto un supporto materiale per la sua oggettivazione e delle regole per la sua codificazione. Pittogrammi e ideogrammi hanno scelto di rappresentare le immagini concettuali, altre scritture hanno privilegiato la riproduzione del suono della voce (attraverso scritture consonantiche, sillabiche, vocaliche ecc.), altre ancora hanno introdotto simboli per le inferenze, le rappresentazioni grafiche e concettuali ecc. Si sono utilizzati come supporti la pietra, il papiro, la pergamena, la carta, il digitale, nelle loro infinite varianti.

Questi non sono solo mezzi tecnici, esterni e indifferenti al contenuto, alle regole della sua rappresentazione, all’effettivo mondo degli uomini e delle loro relazioni. Non inganni a questo proposito il termine estroflessioni. Utilizzare una lingua piuttosto che un’altra, un codice piuttosto che un altro, un supporto tecnico piuttosto che un altro interagisce con la nostra percezione del mondo, con i nostri processi conoscitivi, con il modo con cui organizziamo il nostro sapere e il nostro stare nel mondo. Si parla a questo proposito di brainframes, cornici mentali. Non intendo fare riferimento a un determinismo superficiale ma a una feconda interazione. Utilizzare una lingua che non prevede il soggetto nei verbi è allo stesso tempo effetto e rinforzo di una concezione secondo la quale le cose accadono senza che si possa o si debba intervenire su di esse. Una lingua senza la scrittura enfatizza la memorizzazione globale dei saperi e la loro trasmissione mentre rimane estranea alla strutturazione logica dei rapporti. Nessuno studioso è riuscito a ricostituire un organigramma completo dei rapporti di parentela delle divinità greche, per il semplice fatto che non si può applicare uno strumento tipico delle mentalità alfabetiche (un grafico) a un contenuto nato per lo più dentro una civiltà dell’oralità. Se un mito è raccontato oralmente, non c’è una formulazione autentica su cui confrontare le infinite varianti.


[1] Fino a che punto? Ha fatto notizia Tony Curtis che si è fatto seppellire con il suo iPhone. Dentro il telefono c’erano lettere, contatti, immagini, nomi ecc. Un intero mondo mentale riferito al suo proprietario.

[2] Si veda ad esempio A. Moro, Breve storia del verbo essere. Viaggio al centro della frase, Adelphi, Milano 2010.

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